GENETICA - LOCI - GWAS

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    https://www.lescienze.it/news/2022/05/20/n...nomica-9431676/

    CHE COSA PUO' DIRE O MENO LA GENETICA SUL RISCHIO INDIVIDUALE PER COVID-19

    20.05.2022

    Gli studi di associazione sull'intero genoma possono individuare i marcatori genetici che aumentano o riducono il rischio per questa malattia, ma non i fattori sociali. E questa mancanza potrebbe portare a discriminazioni nell'assistenza sanitaria.

    Immaginate di sottoporvi a un test genetico in grado di evidenziare il vostro rischio personale di sviluppare complicazioni e di morire a causa di una particolare malattia, come il cancro, l'infarto o persino il COVID. Una versione di questo test esiste, anche se imperfetta.

    Gli studi di associazione su tutto il genoma (o GWAS, da genome-wide association study) stanno diventando un metodo sempre più comune per valutare il rischio di COVID. Si tratta di una risorsa per combattere la malattia, poiché identifica le posizioni, o loci, sul genoma umano che mettono un individuo a rischio maggiore o minore di malattia grave. E gli scienziati sperano che questo approccio possa aprire le porte a nuove forme di trattamento.

    "Il sequenziamento dell'intero genoma permette di controllare ogni singola coppia di basi del genoma", afferma Athanasios Kousathanas, principal genomics data scientist della società londinese Genomics England. "E questo permette di trovare con maggiore precisione i geni particolari che potrebbero essere coinvolti".

    SITO UFFICIALE GENOMICS ENGLAND:
    www.genomicsengland.co.uk/




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    Alcuni esperti, tuttavia, avvertono che i GWAS da soli non sono sufficienti per valutare con precisione il rischio di COVID. Secondo il loro giudizio, l'analisi genomica può essere difficile da separare dai fattori di rischio sociali e potrebbe esporre i sistemi sanitari a discriminazioni.

    Manuel Ferreira, ricercatore dell'azienda di genetica Regeneron, fa parte di un gruppo che usa i GWAS per ricercare i loci correlati al rischio di COVID, setacciando migliaia di genomi provenienti da quattro banche dati aggregate. Nel loro studio più recente, pubblicato a marzo su “Nature Genetics”, Ferreira e i suoi coautori hanno illustrato le cifre e hanno scoperto che gli individui con una variante rara del gene ACE2 sembravano avere un rischio di sviluppare un COVID grave inferiore di quasi il 40 per cento rispetto alla popolazione generale. “È quello che noi chiamiamo un 'effetto forte'", spiega Ferreira.

    SITO UFFICIALE REGENERON GENETICS CENTER:
    www.regeneron.com/science/genetics-center


    regeneron-genetics-ctr-logo

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    MANUEL FERREIRA

    Il gene ACE2 codifica per una proteina ACE2 specializzata, che si trova sulla superficie di una cellula. Normalmente la proteina aiuta a regolare fattori come la pressione sanguigna e l'infiammazione, permettendo a specifici frammenti proteici di entrare o uscire dalla cellula. Oltre a ciò, questa proteina fornisce a SARS-CoV-2, il virus che causa il COVID, un punto di ingresso cellulare per l'infezione. Quando il virus entra in contatto con la proteina ACE2, vi si aggancia con la sua proteina spike esterna come un riccio impigliato in un calzino. Da lì, il virus entra nella sua cellula bersaglio.

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    Illustrazione di particelle di Sars-CoV-2 (in rosso) mentre si legano ai recettori ACE2 (in blu) sulla superficie delle cellule bersaglio

    Ma Ferreira ha scoperto che le persone portatrici di una specifica variante del gene ACE2 hanno sulla superficie delle loro cellule circa il 39 per cento in meno di recettori per la proteina. Di conseguenza, ipotizzano gli scienziati, nell'organismo di queste persone dovrebbe poter entrare un numero più piccolo di virus SARS-CoV-2, riducendo significativamente il rischio di COVID grave. "In un certo senso, non è del tutto sorprendente, poiché sappiamo che il virus ha bisogno di questi recettori per entrare nella cellula", afferma Ferreira.

    Kenneth Baillie, ricercatore clinico dell'Università di Edimburgo, ha recentemente collaborato con Kousathanas di Genomics England a uno studio che ha identificato 16 nuovi loci legati al rischio di COVID grave. Alcuni, secondo Baillie, sono potenziali bersagli per nuove terapie farmacologiche. "Sono sicuro che ne esistano altri e di cui non abbiamo ancora capito bene la biologia", afferma.


    Tuttavia, altri ricercatori avvertono che, quando si tratta di prevedere le forme gravi di COVID, è quasi impossibile distinguere i rischi genetici dai fattori di rischio sociali, come l'accesso all'assistenza sanitaria e le condizioni di lavoro, anche usando l'analisi genomica.

    Elsie Taveras è una pediatra del Massachusetts General Hospital. Quando la pandemia era al culmine, lei, come molti altri nel suo campo, è stata trasferita nel reparto di terapia intensiva per aiutare a curare i pazienti che affluivano. Tra i malati di COVID grave ha subito ha notato uno schema: si trattava per la maggior parte di persone di colore provenienti da comunità a basso reddito. Molti non parlavano inglese.


    "Non avrei mai pensato che il contributo più importante a un gruppo di cura non fosse tanto la mia esperienza medica quanto la possibilità di essere presente e aiutare con la mia conoscenza della lingua spagnola", sottolinea Taveras.

    Tra le barriere linguistiche e le limitate risorse finanziarie, molti dei pazienti di Taveras hanno evitato di farsi curare fino a quando la loro malattia non si è aggravata. Altri coabitavano con parenti di generazioni diverse o svolgevano lavori in prima linea in cui l'isolamento era praticamente impossibile. Queste pressioni sociali li hanno esposti a un rischio di COVID grave più elevato, non a causa della genetica ma semplicemente delle circostanze.


    I genetisti fanno del loro meglio per tenere conto di queste disparità nelle loro analisi. "In termini epidemiologici, il metodo che permette di capire meglio in che misura la genetica determini la gravità della malattia rispetto ai fattori di rischio sociali è ‘aggiustare’ alcune di queste variabili", afferma Taveras. Confrontando individui di ascendenza, status socioeconomico, sesso o storia medica simili, gli scienziati possono stabilire una linea di base per le probabilità di un paziente di sviluppare COVID grave. Ma anche con questi controlli, "è un metodo imperfetto", aggiunge Taveras.

    Una precedente analisi genetica, per esempio, collegava l'alto rischio di COVID al fatto di avere sangue di tipo A e il basso rischio al gruppo sanguigno 0. Ma una ricerca successiva ha scoperto che l'associazione tra il gruppo 0 e il rischio di COVID era trascurabile, mentre la connessione con il sangue di tipo A era inesistente.


    La ricerca di Ferreira si è servita di una banca dati contenente centinaia di migliaia di genomi. Questi dati hanno fornito ai ricercatori un quadro chiaro dell'origine etnica e delle cartelle cliniche dei soggetti, ma non hanno dato quasi alcun contesto per quanto riguarda il livello di reddito, la situazione abitativa o la lingua principale.

    Ferreira e i suoi colleghi hanno scoperto che gli individui di ascendenza europea avevano circa 1 probabilità su 200 di essere portatori della variante di ACE2 che riduce il rischio di COVID. Nelle persone con ascendenza africana, le probabilità erano di circa 1 su 100, mentre le persone di origine sud-asiatica avevano circa 1 probabilità su 25 (anche se quest'ultimo campione era molto piccolo e il risultato non era statisticamente significativo). Tuttavia, anche queste stime possono essere problematiche.
     
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