TRANSUMANESIMO-UOMO OGM-Intelligenza artificiale-CYBORG-NANOTECNOLOGIE-SINGOLARITY (CAMERA DEI DEPUTATI E ALTRE PROVE TUTTE QUI)

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    Neil Harbisson, il primo cyborg della storia umana - Codice La vita è digitale 02/09/2019

     
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    MERCEDES, ARRIVA IL SUV DEL FUTURO: LA VERNICE SOLARE ALIMENTA IL MOTORE



    Non sarà la DeLorean, protagonista della famosa trilogia "Ritorno al futuro", ma rappresenta sicuramente un passo in avanti rispetto ai veicoli tradizionali. La Mercedes ha lanciato sul mercato un nuovo Suv, Vision G- Code, sostenuto da due motori: quello elettrico che opera sulle ruote posteriori e quello ad idrogeno che agisce sulle ruote anteriori. Entrambi sono alimentati dall'energia solare, dal vento, dall'idrogeno e dallo spostamento delle sospensioni. Inoltre i due motori si possono utilizzare sia contemporaneamente che in maniera separata, tenendo conto del risparmio che ciascun automobilista vuole ottenere e del tipo di strada che si sta percorrendo.

    Il progetto, il cui acronimo è Suc (Sport Utility Coupé), nasce come il giusto connubio per garantire agli utenti comfort, sostenibilità, sicurezza ed efficienza. Tutto in un'unica soluzione eco- compatibile. La Mercedes Vision G-Code è stata concepita dall'Advanced Design Studio del Product Engineering Centre di Pechino per il mercato asiatico: lunga 4,10 metri, larga 1,90 metri e alta 1,50 metri, l'automobile vanta al suo interno una griglia olografica che mostra la modalità di alimentazione. Le sue caratteristiche sembrano adatte proprio ad appagare le esigenze del traffico e della viabilità delle città dell'est.

    Il display a led indica, inoltre, in base ai colori la modalità con cui si sta utilizzando l'innovativa "creatura" della casa automobilistica di Stoccarda: la luce blu chiara, che lampeggia, significa che il veicolo è fermo; la luce blu che si muove verso il centro indica che è attiva la modalità eDrive, ovvero con funzionamento elettrico; le luci viola mostrano l'eco-mode e le luci rosse verso l'esterno indicano la modalità sportiva. Ad ogni modalità corrisponde, dunque, un colore che appare sul display frontale. Il passaggio dall'una all'altra si verifica tramite un software, che viene definito un "digital prop shaft" tra asse posteriore ed interiore. Inoltre gli specchietti retrovisori lasciano il posto a due moderne videocamere retrattili e le portiere sono caratterizzate da un'apertura controvento.

    L'aspetto della visibilità è accentuata grazie alla scomparsa degli elementi montanti; i vetri ricoprono, infatti, tutti i lati dell'automobile. All'interno dei sedili sono stati installati body scanner 3D in grado di calcolare i parametri fisici degli occupanti e in base a questi attivare le opzioni di riscaldamento, raffreddamento e addirittura i massaggi automatici per eliminare la tensione muscolare. Presenti inoltre Gps, radar, videocamere e scanner ad infrarossi.

    Ma qual è l'aspetto futuristico più importante di questa nuova automobile, targata Mercedes? Il Suv Vision G-Code si presenta ricoperto da una vernice particolare, multi- voltaica e di colore argento, in grado di raccogliere e generare elettricità. La sua funzione viene associata a quella di una cella solare. Un aspetto rivoluzionario è garantito anche dalla carica elettrostatica del vento che batte sul veicolo sia da fermo che in movimento. Un'altra tecnologia per generare elettricità. Sia l'energia solare che quella del vento rappresentano due fonti energetiche sfruttate per la sintesi dell'idrogeno.

    In che modo, vi chiederete, viene prodotta la giusta carica? L'elettricità nasce grazie alle molle e agli ammortizzatori idraulici che risultano collegati ad un'unità di controllo centrale. Le cariche elettriche sono utilizzate, dunque, per la sintesi del metano e dell'idrogeno. L'ossigeno che viene prodotto dalla sintesi dell'idrogeno viene disperso all'interno dell'abitacolo a favore dei quattro occupanti che potranno respirare aria pura, soprattutto durante le giornate di intenso traffico quando l'aria esterna è soggetta alle emissioni degli ingorghi. Un quadro non così irreale per le grandi metropoli asiatiche. L'energia in eccesso viene utilizzata, invece, per caricare i mini scooter elettrici presenti nel vano bagagli.

     
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    DR STRAMEZZI PRESENTA IN SENATO APP PER LE CURE COVID ■· "NON SERVIRANNO PIÙ I PROTOCOLLI DEI SOLONI"
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    CIFTIS 2021 - Robot Expo in China |The latest robots and artificial intelligence developments

     
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    Humans Star Gemma Chan Builds Herself A Robot Clone | Artificial Intelligence | Spark

     
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    https://www.galileonet.it/la-pelle-artific...peli-ghiandole/

    LA PELLE ARTIFICIALE CON TANTO DI PELI E GHIANDOLE

    pelle-artificiale-696x376

    Avrete probabilmente già sentito parlare della pelle artificiale, ma finora non avete visto questo. I ricercatori giapponesi del Riken Center for Developmental Biology sono riusciti a far crescere in laboratorio una pelle artificiale completa, con tanto di follicoli piliferi, ghiandole sebacee e sudoripare. Per farlo, come raccontano su Science Advances, si sono serviti delle cellule staminali pluripotenti indotte, o IPS, ovvero cellule staminali generate artificialmente a partire da una già differenziata, in genere una cellula somatica adulta.

    In tal caso le cellule adulte erano quelle prelevate dalle gengive dei topi, trattate con sostanze in grado di trasformarle in staminali. In laboratorio i ricercatori sono quindi riusciti a ottenere da queste staminali cellule dell’epidermide, del derma e tessuto adiposo. Con tanto di ghiandole sebacee e follicoli piliferi, tutti componenti della pelle. A questo punto i tessuti coltivati in vitro sono stati impiantati nei topi con un deficit del sistema immunitario (cosiddetti topi nudi), consentendo così alla nuova pelle di crescere senza ostacoli. Il risultato finale è stato un po’ inquietante: basta guardare la foto qui sopra (il verde è quello della green fluorescent protein (Gfp), usato per marcare e vedere le IPS trapiantate). La nuova pelle si è dimostrata in buona salute, formando tutte le connessioni con le fibre nervose e muscolare circostanti, permettendo così di funzionare normalmente.

    Sebbene la scoperta potrebbe essere un enorme vantaggio per la medicina rigenerativa, basti pensare alle vittime di gravi ustioni, la strada è ancora lunga perché si arrivi a utilizzi pratici. Infatti, gli scienziati hanno stimato che la sperimentazione sull’essere umano comincerà solamente entro i prossimi 10 anni.

    “Fino ad ora lo sviluppo della pelle artificiale era ostacolato dal fatto che era priva degli organi importanti, come i follicoli piliferi e le ghiandole, che gli permettono di svolgere il suo importante ruolo. Con questa nuova tecnica siamo riusciti a far crescere con successo una pelle che replica la funzione del tessuto normale”, spiega l’autore dello studio Takashi Tsuji. “Siamo sempre più vicini al sogno di poter ricreare organi per il trapianto, credendo inoltre che il tessuto cresciuto con questo metodo possa essere utilizzato come alternativa alla sperimentazione animale di prodotti chimici”.
     
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    https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica...4a3676df3e.html

    Costruito il più piccolo oggetto volante, è un microchip



    Un microchip con le ali e' la piu' piccola struttura volante costruita dall'uomo: ispirato ai semi delle piante dispersi dal vento, potrebbe aprire ad una nuova generazione di sensori per l'ambiente e la biomedicina, senza batterie e wireless. A realizzarlo i ricercatori della Northwestern University di Evanston, il cui studio e' pubblicato sulla rivista Nature.

    Prendendo ispirazione dai semi dispersi dal vento, i ricercatori guidati da John Rogers hanno progettato strutture volanti che vanno dalle dimensioni della microscala (inferiori a 1 millimetro) a quelle della macroscala (superiori a 1 millimetro). Tramite simulazioni e usando il tunnel del vento, i ricercatori rhanno studiato come l'aerodinamica di questi oggetti volanti viene modificata con il variare di diametro, struttura e tipo di ali.

    Per la maggior parte i microchip con le ali hanno le dimensioni di un granello di sabbia e non hanno un motore, ma volano sul vento come alianti e ruotano come elicotteri. L'aerodinamica di queste strutture e' stata progettata in modo da assicurare che scendano in modo controllato anche da altezze elevate. In questo modo, inoltre, si stabilizza il volo, assicurando la dispersione in una vasta aerea e aumentando il tempo di interazione con l'aria, il che lo rende ideale per il monitoraggio dell'inquinamento atmosferico.

    I microchip volanti sono composti da due parti: le ali e le componenti elettroniche funzionali. Negli esperimenti ondotti finota i ricercatori hanno corrdato i microchip di sensori per monitorare l'acidita' dell'aria o l'esposizione al Sole a diverse lunghezze d'onda. Il prossimo obiettivo e' fare in modo che queste minuscole macchine possano dissolversi gradualmente nel tempo nell'acqua, una volta che non servono piu'.
     
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    www.lswn.it/tecnologie/sudore-dell...-ore-al-giorno/
    immagine-del-dispositivo-tipo-cerotto-per-catturare-energia-dal-sudore-in-punta-di-dita
    Il sudore delle dita può alimentare sensori indossabili 24 ore al giorno
    14 luglio 2021

    Negli ultimi anni sta emergendo un campo di ricerca molto promettente riguardante i cosiddetti dispositivi elettronici indossabili autoalimentati per il monitoraggio della salute umana. In futuro tali dispositivi potrebbero essere alimentati dal sudore umano.

    Un team di ingegneri dell'Università della California San Diego (USA) da diversi anni sta conducendo numerosi studi sui dispositivi indossabili, recentemente i ricercatori americani sono riusciti a compiere un passo in avanti per rendere tali sensori autonomi dal punto di vista dell'alimentazione elettrica. Rendere cioè tali sensori autoalimentati senza necessità di batterie.

    I ricercatori hanno pensato di sfruttare il sudore prodotto sulla punta delle dita delle mani per generare elettricità quando una persona è seduta o addirittura dorme, fornendo in questo modo una fonte di energia potenzialmente disponibile 24 ore su 24.



    Un nuovo dispositivo indossabile può essere posizionato sulla punta delle dita per generare elettricità anche quando l'utente è in una posizione sedentaria. Credits: UC San Diego.Immagine - Un nuovo dispositivo indossabile può essere posizionato sulla punta delle dita per generare elettricità anche quando l'utente è in una posizione sedentaria. Credits: UC San Diego.



    I sensori e i dispositivi indossabili alimentati dal sudore non sono certo una novità tuttavia, tra i numerosi prototipi alimentati dal sudore che si sono succeduti nel corso degli anni, il team dell'Università della California di San Diego ne ha presentato alcuni promettenti.

    Già nel 2014 gli scienziati avevano mostrato un tatuaggio temporaneo che funzionava come una biobatteria alimentata dal sudore e l'anno scorso il team UC San Diego ha sviluppato un sensore indossabile temporaneo a forma di cerotto per identificare la presenza di vitamina C analizzando il sudore (il sudore serviva anche ad autoalimentare il sensore). Recentemente gli scienziati hanno sviluppato una camicia intelligente in grado di produrre elettricità attraverso il sudore e il movimento del corpo umano.

    Il nuovo dispositivo indossabile viene descritto come il primo del suo genere, in quanto è in grado di generare energia anche quando la persona che lo indossa dorme oppure non compie alcun movimento. Questa caratteristica potrebbe aprire alcune possibilità molto interessanti in quanto il dispositivo potrebbe potenzialmente rappresentare una fonte di energia in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento.

    «A differenza di altri dispositivi indossabili alimentati dal sudore, questo dispositivo non richiede esercizio fisico, nessun input fisico da parte di chi lo indossa per poter funzionare», afferma il dott. Lu Yin, co-autore dello studio. «Questo lavoro rappresenta un passo in avanti per rendere i dispositivi indossabili più pratici, convenienti e accessibili nella vita quotidiana delle persone comuni».

    Come funziona il nuovo dispositivo indossabile?
    Nello sviluppo di questo nuovo tipo di dispositivo indossabile, il team ha dovuto essere molto creativo nel combinare un mix di componenti in grado da un lato di assorbire il sudore e dall'altro di convertirlo in energia.

    La sottile striscia, simile a un cerotto, è costituita da elettrodi in schiuma di carbonio che assorbono il sudore e utilizzano enzimi incorporati per innescare reazioni chimiche al suo interno tra lattato e molecole di ossigeno, quest'ultime reazioni a loro volta generano elettricità che viene immagazzinata in un piccolo condensatore.

    Il dispositivo, posizionato sulla punta delle dita, sfrutta le oltre mille ghiandole sudoripare che si trovano su ogni punta delle dita di una mano. Tali ghiandole producono da 100 a 1.000 volte più sudore rispetto alla maggior parte delle altre parti del corpo umano. Gli autori descrivono quindi la punta delle dita come vere e proprie fabbriche di sudore attive 24 ore su 24.

    «Il motivo per cui ci sentiamo più sudati in altre parti del corpo è perché tali zone non sono ben ventilate», scrive il dott. Yin. «Al contrario le dita sono sempre esposte all'aria pertanto il sudore evapora man mano che fuoriesce dalla superficie della pelle. Quindi, invece di lasciarlo evaporare, usiamo il nostro dispositivo per raccogliere questo sudore generando in questo modo una quantità significativa di energia».

    Mentre il dispositivo genera la maggior parte della sua elettricità in questo modo, non bisogna pensare che sia limitato nel produrre energia solo attraverso tale modalità. Infatti, sotto i suoi elettrodi, il dispositivo è dotato anche di un materiale piezoelettrico in grado di generare ulteriore elettricità in risposta ad una pressione esterna applicata su quest'ultimo materiale. Ciò significa che attività come digitare su una tastiera (di un computer o di unno smartphone) o suonare il pianoforte possono comportare guadagni di energia.

    Durante uno degli esperimenti condotti dal team di scienziati un gruppo di soggetti ha indossato il dispositivo sulla punta di una delle dita durante un periodo di sonno della durata di 10 ore, ciò ha generato quasi 400 millijoule di energia. Secondo i ricercatori tale valore energetico è sufficiente per alimentare un orologio elettronico per 24 ore. Un'ora di digitazione "occasionale" insieme ai movimenti effettuati con un mouse (clic) ha permesso al dispositivo di generare quasi 30 millijoule.

    «Possiamo mettere a confronto il nostro dispositivo con un dispositivo che raccoglie energia mentre ti alleni», scrive il dott. Yin. «Quando stai correndo, stai investendo centinaia di joule di energia per generare soltanto alcuni millijoule di energia. In tal caso, il ritorno sull'investimento energetico è molto basso. Ma con questo dispositivo, il ritorno sull'investimento energetico è molto alto. Quando dormi non fai alcun movimento. Anche comprimendo un singolo dito, stai investendo dal punto di vista energetico soltanto circa mezzo millijoule».

    In esperimenti separati, il team ha utilizzato il nuovo dispositivo per alimentare sensori chimici e display, incluso il suddetto sensore rilevatore di vitamina C sviluppato in precedenza. Ora gli ingegneri stanno lavorando per migliorare il dispositivo in modo da renderlo sia più efficiente sia più resistente, sperano di combinarlo con altri sensori in modo formare nuovi tipi di dispositivi indossabili autoalimentati.

    «Il nostro obiettivo è quello di renderlo un dispositivo pratico», sostiene il dott. Yin. «Vogliamo dimostrare che questa non è solo un'altra cosa interessante che può generare una piccola quantità di energia e basta, possiamo effettivamente usare l'energia prodotta per alimentare l'elettronica indossabile (utile alle persone) come sensori e display.»




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    www.lswn.it/tecnologie/trasformare...n-una-batteria/

    Trasformare il corpo umano in una batteria?
    08 marzo 2021
    Un team di ricercatori USA ha progettato un nuovo dispositivo per convertire il calore del corpo umano in energia elettrica.

    Nel prossimo futuro, i pacemaker potrebbero funzionare con l'energia elettrica "prodotta" attraverso il calore corporeo;

    I dispositivi per generare elettricità potrebbero sostituire le batterie degli orologi e altre fonti di alimentazione per i dispositivi elettronici indossabili (ad es. Smartwatch);

    Maggiore sarà la differenza di temperatura tra la superficie interna e quella esterna e maggiore sarà l'energia "prodotta".



    Un nuovo dispositivo potrebbe trasformare il calore del corpo umano in elettricità come se fosse una batteria, ciò significa che pacemaker, pompe per la somministrazione di farmaci (pompe di infusione) e altri dispositivi medici impiantabili potrebbero funzionare con un nuovo tipo di energia rinnovabile, quella prodotta dal nostro corpo.



    Il dispositivo indossabile, che si chiama generatore termoelettrico (TEG, thermoelectric generator), trasforma direttamente il calore del corpo in energia elettrica.

    Immagine - Il dispositivo termoelettrico indossabile come un anello. (Credit: Xiao Lab)Immagine - Il dispositivo termoelettrico indossabile come un anello. (Credit: Xiao Lab)

    Gli scienziati dell'Università del Colorado Boulder, USA hanno ideato il dispositivo TEG sotto forma di un anello elastico, il piccolo generatore potrebbe teoricamente essere delle dimensioni di un orologio da polso o anche più grande a seconda della potenza che si desidera generare.
    anello-generatore-termoelettrico

    Come funziona il TEG?
    Per prima cosa il dispositivo va indossato direttamente a contatto con la pelle. Circuiti flessibili e malleabili all'interno del dispositivo convertono quindi il calore corporeo in elettricità.



    Nel frattempo, un materiale speciale incorporato all'interno del dispositivo è in grado di autorigenerarsi e cambiare configurazione per evitare di rompersi mentre ci si muove.



    Il TEG è elasticizzato e resistente proprio come la pelle. Ciò significa che puoi indossarlo comodamente in tutti i tipi di condizioni senza rischiare di romperlo, scrivono gli scienziati nel loro studio recentemente pubblicato sulla rivista Science Advances.



    Mentre la parte del dispositivo che è a contatto con la pelle trasforma il calore in energia l'altra parte del TEG è in grado di assorbire l'energia solare dal suo "lato freddo", ossia la zona opposta del dispositivo più lontana dalla pelle.




    «In futuro, vogliamo essere in grado di alimentare l'elettronica indossabile senza dover includere una batteria», scrive il Dott. Jianliang Xiao, professore associato presso il dipartimento di ingegneria meccanica dell'Università del Colorado Boulder. «Ogni volta che si utilizza una batteria, sarà sempre necessario sostituirla perché prima o poi si esaurirà. La cosa bella del nostro dispositivo termoelettrico è che puoi indossarlo e ti fornisce una potenza costante».



    Consideriamo adesso il naturale processo di conduzione termica del corpo umano. Per mantenere una temperatura costante di 37 °C il corpo deve regolare uno stretto equilibrio tra guadagno di calore e perdita di calore.

    I generatori termoelettrici usano una differenza di temperatura, come la temperatura del nostro corpo rispetto all'aria circostante, per trasformare tale differenza di temperatura in energia.



    In natura per arrivare all'equilibrio termico il calore viene dissipato automaticamente verso zone più fredde, i TEG possono catturare tali particelle energizzate mentre passano attraverso una barriera ultrasottile.



    Tali dispositivi indossabili possono generare circa un volt di energia per ogni centimetro quadrato di pelle, si tratta di un valore di tensione elettrica per unità di superficie inferiore rispetto alla maggior parte delle batterie attualmente esistenti.

    Sfruttare la modularità dei dispositivi per generare più energia
    Tuttavia, grazie alla modularità di tali dispositivi, i ricercatori potrebbero espandere le dimensioni dei dispositivi partendo dagli anelli per arrivare ai braccialetti sportivi simili agli smartwatch oppure collegare più dispositivi insieme in modo da ottenere una fascia indossabile piena di celle TEG.

    I nuovi moduli potrebbero creare ancora più energia, alimentando dispositivi con requisiti elettrici più elevati.

    Non solo smartwatch o dispositivi per il fitness
    Gli scienziati affermano che tale tecnologia potrebbe eliminare la necessità di dover utilizzare le batterie nei dispositivi per l'utilizzo sugli esseri umani, non solo smartwatch o dispositivi per il fitness ma anche pacemaker e altri impianti che richiedono energia elettrica per funzionare.

    Le batterie sono una tecnologia piuttosto sporca dal punto di vista dell'impatto ambientale, vengono infatti utilizzati metalli terrestri rari e materiali corrosivi. Il corpo potrebbe fare lo stesso lavoro di una batteria di un orologio da polso attraverso l'utilizzo di una tecnologia più pulita e riciclabile.

    I ricercatori sostengono che tra 5-10 anni potremmo vedere questi dispositivi indossabili nei negozi.

    «Stiamo cercando di rendere i nostri dispositivi il più possibile economici e affidabili, pur avendo un basso impatto ambientale», scrive il prof. Xiao.

    Se i dispositivi sviluppati dai ricercatori dovessero riuscire a diventare competitivi sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista dell'affidabilità potremmo forse evitare che un quantitativo consistente di batterie finisca nell'ambiente inquinandolo, ogni anno.

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    https://www.lswn.it/tecnologie/microbot-a-...one_industriale
    Microbot a base di grafene eliminano 95% metalli pesanti dall’acqua

    Un gruppo internazionale di ricercatori ha sviluppato un microbot a forma di tubo che permette di rimuovere i metalli pesanti dall’acqua in maniera più efficace ed economica rispetto agli attuali sistemi per la bonifica dell'ambiente. Il microbot si autoalimenta ed è rivestito da uno strato di grafene che fissa gli ioni del piombo con cui viene a contatto.

    I risultati sperimentali mostrano che attraverso tali minuscoli dispositivi è possibile rimuovere dall’acqua inquinata il 95% di piombo in un'ora, successivamente i microbot possono essere puliti e riutilizzati più volte.

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    Il biossido di titanio è un materiale che si presenta sotto forma di polvere cristallina quasi incolore, tendente al bianco. Sarebbe presente su alcune mascherine usate contro il Coronavirus
    23 Ottobre 2020


    Le mascherine contengono grandi quantità di titanio cancerogeno? Il caso Adiconsum

    L’utilizzo delle mascherine per contrastare la diffusione del Covid non mette d’accordo tutti. Benché nella comunità scientifica ci sia chi sostiene che la loro efficacia sia molto limitata, per via del tipo di utilizzo corretto che ne andrebbe fatto e che invece non viene rispettato, e seppur la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità abbia cambiato idea a riguardo, l’obbligo di mascherina in Italia vige ormai ovunque.

    Dubbi sulle mascherine
    Con la sola eccezione della nostra casa, dove però sarebbe utile indossarla se ci troviamo in compagnia di persone, amici o parenti che non appartengono al nostro nucleo familiare.

    Mentre da un lato l’evidenza scientifica dimostrerebbe che mascherina unita a distanza sociale diminuirebbe la carica virale del Covid di 1.000 volte, dall’altro uno studio appena condotto dai ricercatori dell’Università di Tokyo è riuscito a dimostrare che le mascherine, sia quelle chirurgiche che quelle di cotone, sarebbero in grado di bloccare solo in parte le particelle di Coronavirus disperse nell’aria, anche quando non si mantiene la distanza di sicurezza.

    Idem i dispositivi di protezione individuale, cioè le mascherine professionali, avrebbero una capacità protettiva maggiore ma comunque non totale. Queste, dicono i ricercatori, non sono state in grado di bloccare completamente la trasmissione di goccioline di virus anche se completamente sigillate.

    Hanno scoperto che le mascherine di cotone, quelle chirurgiche e le N95 hanno tutte un effetto protettivo rispetto alla trasmissione di aerosol infettivo di Sars-CoV-2 e che l’efficienza protettiva contro il Covid è maggiore quando la mascherina è indossata da chi può diffondere di virus.

    Mascherine con titanio, l’allarme di Adiconsum
    Ora, un nuovo diverso allarme arriva da Adiconsum Veneto. L’Associazione Difesa Consumatori e Ambiente ha esaminato diversi lotti di mascherine sequestrate dalla Guardia di Finanzia di Padova perché prive di documentazione, e ciò che ha scoperto è qualcosa di piuttosto preoccupante, che dovrà necessariamente essere oggetto di ulteriori indagini.

    Nel 70% delle mascherine analizzate, Adiconsum ha trovato la presenza di grandi quantità di biossido di titanio, materiale che si presenta sotto forma di polvere cristallina quasi incolore, tendente al bianco.

    Su 700 mascherine tra chirurgiche, FFP2 e in cotone, in circa 450-500 è stato trovato biossido di titanio in quantità variabile da 100 ppm a 2000 ppm (ppm corrisponde a mg/Kg). La quantità maggiore in quelle bianche o sulla parte interne. In generale, comunque, i livelli più alti sono risultati in quelle chirurgiche.

    “Siamo partiti con test di laboratorio che hanno certificato la presenza in grandi quantità di biossido di titanio” ha spiegato il segretario Adiconsum Veneto Stefano Franceschetto. Il consumatore deve essere informato”. Tutti i prodotti hanno schede tecniche che ne determinano caratteristiche e provenienza, cosa che invece non succede con le mascherine: “Si va, si compra e si indossa nell’incertezza che queste siano adeguate. Va introdotta una scheda e va normata la presenza del biossido di titanio”.

    Per quanto la notizia abbia scatenato moltissime reazioni preoccupate, va tuttavia assolutamente precisato che quel 70% di mascherine su cui è stato ritrovato biossido di titanio si riferisce al campione di mascherine analizzato e appunto sequestrato dalla Guardia di Finanza perché irregolare, e non a quelle in circolazione.

    Questo ci aiuta ancora una volta a raccomandare l’acquisto di mascherine a norma, indicate col marchio CE se chirurgiche o FFP2.

    Cosa si sa sul biossido di titanio
    Il biossido di titanio è una sostanza sulla quale, ad oggi, esistono diversi studi controversi. L’E171 è un composto chimico definito nel 2006 dallo Iarc come “possibile cancerogeno per l’uomo” quando inalato. Anche l’Ue, in un documento pubblicato ad ottobre scorso, ha classificato il biossido di titano, sempre se inalato, come “probabilmente cancerogeno”.

    In Francia, ad esempio, è stata recentemente vietata la commercializzazione degli alimenti contenenti biossido di titanio. Oltralpe la decisione è arrivata dopo che nel 2017 una ricerca dell’Istituto nazionale francese per la ricerca agronomica (Inra) aveva mostrato che l’esposizione cronica al biossido di titanio tramite ingestione “provoca stadi precoci di cancerogenesi”.

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    www.green.it/grafene-e-desalinizzazione/
    hexagonal-graphene-lattice-of-carbon-atoms_1000x565-e1498144849800
    Grafene e desalinizzazione: così l’acqua del mare diventa potabile

    Non a caso è considerato il ‘materiale delle meraviglie’, il vero materiale multiuso del futuro: è trasparente come il vetro ma è flessibile quanto la plastica, è un conduttore elettrico quanto il rame ed è più resistente dello stesso acciaio. Parliamo ovviamente del grafene, portato alla ribalta per la prima volta nel 2004 da Konstantin Novoselov e Andre Geim, ricercatori dell’Università di Manchester che per primi ne hanno isolato un singolo strato per dimostrarne le immense proprietà elettriche. Quel loro studio fece tanto scalpore nel mondo scientifico e tecnologico da portare i due a guadagnarsi il Premio Nobel per la Fisica nel 2010. Negli ultimi tempi, però, si parla non tanto della conducibilità di questo materiale, quanto invece della sua possibilità di rendere potabile l’acqua marina: non avete mai sentito parlare di grafene e desalinizzazione?

    La realizzazione sperimentale del grafene
    In primo luogo, prima di scoprire il rapporto che si è venuto a creare tra grafene e desalinizzazione, cerchiamo di capire meglio cos’è questo materiale delle meraviglie. Per farsene un’idea precisa sarebbe necessario parlare di allotropi del carbonio e di fullereni, ma noi resteremo più in superficie: ci basta infatti capire che il grafene è costituito da un singolo piano di grafite, presentando quindi una struttura a due dimensioni iper sottile, formata da atomi di carbonio ordinati in celle esagonali. Prima della realizzazione del grafene da parte di Novoselov e Geim nel 2004 si pensava che un singolo strato di grafite sarebbe stato impossibile da creare, in quanto la sua instabilità termodinamica ne avrebbe compromesso la struttura. Per fortuna quegli scienziati si sbagliavano, e oggi ci troviamo a parlare di grafene e desalinizzazione.

    I primi test con l’ossido di grafene
    Questo nuovo studio sul grafene e desalinizzazione arriva sempre dall’Università di Manchester e dal suo National Graphene Institute: tra gli autori della ricerca, tra l’altro, compare anche Andre Geim, uno dei papà del grafene. Grazie al loro lavoro la desalinizzazione dell’acqua di mare, ovvero una delle attività che in futuro potrebbero risolvere il problema della mancanza di risorse idriche, potrebbe essere più agevole e veloce. Non è certo la prima volta, come si è accennato, che si parla di grafene e desalinizzazione: sempre a Manchester infatti gli stessi ricercatori avevano dimostrato al mondo scientifico tutte le potenzialità dei filtri a base di ossido di grafene – più economico e facile da riprodurre rispetto al grafene – per rimuovere i sali contenuti nell’acqua. Questi setacci avveniristici, dunque, sono già stati testati per filtrare sali complessi o altri tipi di molecole organiche, ma si erano rivelati inefficienti per filtrare i sali comuni, i quali essendo più piccoli finivano per passare tra le maglie dell’ossido di grafene insieme alle molecole dell’acqua. Il problema non era certo di immediata soluzione: una volta entrate a contatto con l’acqua, le membrane di ossido di grafene tendevano infatti a gonfiarsi, andando così ad allargare sensibilmente le dimensioni delle proprie maglie e perdendo in definitiva gran parte della propria capacità filtrante.

    Grafene e desalinizzazione, il rilancio con la resina epossidica
    Il capitolo della ricerca sul grafene e la desalinizzazione, dunque, ha rischiato di chiudersi prima del tempo. Il team di ricerca di Rahul Nair ha però trovato la soluzione, ovvero quella di arricchire l’ossido di grafene con una resina epossidica. Rivestendo entrambe i lati della membrana con questo polimero solitamente impiegato nei rivestimenti e nella realizzazione delle colle, gli scienziati di Manchester sono così riusciti a bloccare l’allargamento automatico delle maglie di grafene una volta immerse in acqua. Più resina epossidica viene applicata, più i fori di questi filtri diventano piccoli, così da riuscire a filtrare efficacemente anche il più sottile cloruro di sodio. In questo modo, dunque, l’acqua di mare può davvero diventare potabile. Questo studio, che ha permesso un nuovo passo in avanti per quanto riguarda il grafene e la desalinizzazione, è stato pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology. Come ha spiegato Nair, «la realizzazione di membrane con dimensioni uniformi dei pori, al di sotto della scala atomica, è un passo importante, e apre nuove possibilità per migliorare l’efficienza delle tecnologie di desalinizzazione».

    Grafene, il materiale del futuro
    Il materiale delle meraviglie si sta dunque confermando incredibilmente versatile. Mentre altri centri di ricerca hanno messo a punto potenti pannelli solari al grafene e persino batterie per smartphone in grado di ricaricarsi in una manciata di minuti, a Manchester si è arrivati a rendere potabile l’acqua del mare. Di certo l’accoppiata tra grafene e desalinizzazione non è l’unica possibile: la sfida, ora, è quella di confrontare questa nuova tecnologia con quella degli impianti di potabilizzazione attualmente sul mercato. In ogni modo, l’obiettivo – attraverso l’uso del grafene – è quello di rendere questi sistemi di desalinizzazione disponibili su piccola scala, così da renderli accessibili anche nei Paesi più poveri, dove il bisogno di acqua pulita è maggiore.





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  10. KIARAREBEL
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    LE CITTA' ROBOT - DOVE SARAI FELICE - NUOVO ORDINE MONDIALE
     
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  11. KIARAREBEL
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    httpS://www.scienzaevita.org/wp-content/up...-19-per-PDF.pdf
     
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  12. KIARAREBEL
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    VIDEO:
    https://www.ted.com/talks/maurice_conti_th...ipt?language=it

    L'INCREDIBILE INVENZIONE DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE INTUITIVA

    2019-12-12_13-10-53b
     
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  13. KIARAREBEL
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    www.media.mit.edu/projects/augmented-eternity/overview/

    ETERNITA' AUMENTATA E IDENTITA' SCAMBIABILI

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    Ti sei mai chiesto cosa farebbe un'amica se si trovasse nella tua situazione decisionale? O hai pensato a dove potrebbe andare un membro della famiglia se stesse visitando una destinazione di viaggio con te? In molti casi, puoi solo immaginare cosa farebbe una persona se fosse nei tuoi panni. Ma ora potresti essere in grado di " prendere in prestito la loro identità " in modo sicuro e porre una domanda con la sicurezza di ricevere una risposta pertinente e preziosa.

    Gli agenti software possono diventare i nostri eredi digitali? Un capo di stato, uno scienziato o un imprenditore può sfruttare l'intelligenza artificiale per integrare la pianificazione della successione? E se potessi selezionare l'identità digitale di una persona deceduta da un social network e attivarla come ontologia collegabile a Siri del tuo iPhone e fare una domanda?

    La nostra identità digitale è diventata così ricca e intrinseca che senza di essa potrebbe sembrare che una parte di noi sia scomparsa. Il numero di sensori che trasportiamo quotidianamente e le impronte digitali che ci lasciamo alle spalle ci hanno fornito modelli e cluster di dati abbastanza granulari che ora possiamo usarli per la previsione e il ragionamento per conto di un individuo. Crediamo che consentendo alla nostra identità digitale di perpetuarsi, possiamo contribuire in modo significativo all'esperienza globale e abilitare una nuova forma di intelligenza collettiva intergenerazionale.


    Questo progetto utilizza una rete di intelligenza artificiale distribuita per consentire ai suoi utenti di controllare la loro crescente impronta digitale, trasformarla nella loro rappresentazione digitale e condividerla come parte di un social network. Il progetto crea una mappatura ontologica in evoluzione di un individuo basata sulle sue interazioni digitali e consente alla persona di rappresentare la sua base di conoscenza aggregata sotto forma di un agente software. Questo agente può quindi essere reso come un chatbot o un assistente vocale. Il progetto mira a rendere open source una serie di "kit di rendering di identità" per consentire agli utenti di condividere rapidamente la propria base di conoscenze all'interno di una rete di fiducia.





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    Augmented Eternity-LENSE - Capacità di vedere il mondo dal punto di vista di altre persone

    Ad esempio, un avvocato aziendale può fornire la sua esperienza a una rete di clienti a un costo ridotto rispetto al suo classico tariffario di persona. I suoi clienti in questo caso hanno la possibilità di "prendere in prestito l'identità " dell'avvocato per un'ora e consultarlo come chatbot . Il nostro framework di intelligenza artificiale imparerà da ogni interazione e risponderà all'utente con un alto grado di pertinenza.

    La ricerca in questo progetto si basa su " Identità mutuabili " in cui gli utenti possono condividere un sottoinsieme della loro identità digitalizzata all'interno di un social network per far progredire l'intelligenza collettiva. Ogni azione può dare luogo a diversi modelli di incentivazione ed è governata dalla semantica e dalle politiche della rete fiduciaria.




    Questa iniziativa combina l'esperienza dell'elaborazione consapevole del contesto, dell'intelligenza artificiale e dell'HCI mobile per creare strumenti intuitivi e di apprendimento che consentono la progettazione e l'adozione di tali sistemi esperti. Il nostro interesse in questo progetto è sviluppare approcci psicologici e socialmente ispirati per comprendere e prevedere meglio il comportamento umano in ambienti contestuali dinamici. Caratterizzare la semantica in tempo reale in tali contesti è un problema impegnativo e offre l'opportunità alle comunità di intelligenza artificiale e di calcolo semantico di sviluppare nuove metodologie per affrontarlo. Contribuiamo a queste comunità attraverso il nostro lavoro su framework di intelligenza artificiale ibrida che si basano su inferenza causale e tecniche di apprendimento automatico, comprese le reti bayesiane. Lo scopo di questo lavoro è imparare dalla vita quotidiana degli esseri umani; piuttosto che usarlo per scopi pubblicitari, lo usiamo per il progresso dell'intelligenza collettiva mondiale. Il design dell'interfaccia e l'ergonomia sono componenti intrinseche di questo progetto di ricerca, poiché riteniamo che tali sistemi abbiano successo solo se adottati e utilizzati da grandi gruppi di persone.
     
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  14. KIARAREBEL
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    www.manageritalia.it/it/attualita/futuro-di-internet

    IL FUTURO DELLA RETE: BRAINTERNET, INTERNET E' NELLA TUA TESTA
    In tutto il mondo, scienziati, governi, aziende e consumatori stanno collaborando per trasformare la terra in un computer gigante e l’umanità in un enorme cervello connesso in rete. Siete pronti per l’era di Brainternet?


    «Io penso che la soluzione migliore sia avere all’interno del cervello un livello di intelligenza artificiale che operi simbioticamente con te, proprio come fa il tuo cervello biologico». Così parlò Elon Musk durante un’intervista televisiva; e alla domanda se è qualcosa che richiede un intervento chirurgico aggiunse: «No, puoi iniettarlo nel sangue o direttamente nella giugulare: da lì arriva velocemente ai neuroni».

    Eccolo, dunque, il futuro sognato e auspicato dal guru della Tesla. Intelligenza artificiale che scorre nelle vene, minuscoli elettrodi impiantati nel cervello per caricare e scaricare pensieri, chip di memoria per ricordare perfettamente tutto ciò che si legge, interfaccia internet impiantata nel cervello per tradurre i pensieri in ricerche online, chip retinici per vedere perfettamente al buio, impianti cocleari per ascoltare qualsiasi conversazione in un ambiente rumoroso, smart drugs per aumentare capacità cognitive e percettive e poi un’infinità di alterazioni artificiali del corpo per diventare esseri “transbionici”. Quando circa dieci anni fa, durante un evento, coniai i termini brainternet e internet of thoughts (pubblicata come visione del futuro di internet nel Dirigibile n. 11 del 2014) Elon Musk non era ancora in fissa con le interfacce neurali impiantabili (Neuralink sarebbe nata solo nel 2017) e neanche Klaus Schwab, fondatore e presidente del World Economic Forum, profetizzava e “auspicava” in ogni occasione la felice fusione fra uomo e macchina. Ora, però, ci siamo: la nuova internet è arrivata. Roba da andare fuori di testa. Facciamo un breve viaggio in tanti piccoli capitoli.

    cerebro

    Cercasi simbiosi
    Tra uomo e macchina. Sentire dentro di sé il computer o la rete. Non come allucinazione, ma come possibilità. Tempo dieci anni e anche il tablet a controllo mentale potrebbe diventare un gadget di uso (o abuso) comune. Per la nuova generazione artificiale (i nati dal 2010 in poi), fluida e dogmatica, la tossicodipendenza tecnologica è una droga di cui non si può fare a meno: avere il corpo connesso dalla testa ai piedi con mille device è pura normalità o, se volete, formalità.

    Sperimentale Watson
    È elementare: quello che si può fare si farà. In tutto il mondo, scienziati, governi, aziende e consumatori stanno collaborando per trasformare la terra in un computer gigante e l’umanità in un enorme cervello connesso in rete. Segnali.

    La Synchron ha appena avuto l’ok dalla Fda per dare il via a un primo studio clinico negli Stati Uniti per impiantare chip cerebrali negli esseri umani. C’è un gran fermento per potenziare le nostre capacità e collegare non solo gli esseri umani e altri mammiferi direttamente ai computer, ma anche gli esseri umani tra loro.

    La solita Neuralink di Elon Musk e poi Neurable, Facebook con Oculus, Halo Neuroscience, Bitbrain Technologies, Inbrain-Neuroelectronics, OpenBCI e, ovviamente, il Pentagono, perché quando si tratta di controllare la mente i militari sono sempre in prima linea. Il dado è tratto. All’uomo non resta che impiantarsi un minuscolo chip nel cervello per muovere telepaticamente le sue truppe di avatar che lavorano al suo posto in ufficio. Ebbene sì, potremmo lavorare simultaneamente e ubiquamente con uffici erranti che vagano in ogni direzione e luogo e noi, nuovi nomadi, senza più fissa dimora lavorativa. E anche qui ci sarà la solita polarizzazione fra ricchi e poveri: tutti avranno diritto a un bel microchip nel cervello per dialogare con i computer a distanza, ma i poveri dovranno subirsi (presente la versione gratuita di Spotify?) continui spot pubblicitari mentali che non lasciano scampo.

    Il 6G è già qui
    «Immagini cosa significa poter accedere non a un solo servizio gestito da un’intelligenza artificiale, ma avere la più potente delle Ai che monitora, secondo dopo secondo, quel che facciamo consigliandoci e guidandoci» afferma esaltato, durante un’intervista a un noto quotidiano, il finlandese Mika Rantakokko, coordinatore della Eu urban agenda digital transition, mentre spiega i principi della rete di sesta generazione (6G). Già, perché il 6G è già qui: 6G Flagship, URLLC, 6G Council, New-6G, 6GIC, 6GWorld, Next G Alliance, [email protected] molti queste sigle, spesso con il fatidico 6 in bella vista, non diranno niente, ma sono le avanguardie di una rete che intende connettere cognitivamente ogni dispositivo, processo ed essere umano fattibile a una griglia di informazioni globale con gemellaggi di massa, telepresenza, cobot, internet dei sensi o, meglio, internet come sesto senso abilitante e “sistemi autonomi onnipresenti strettamente intrecciati in ogni aspetto della nostra vita”. Suona strano, ma è solo l’inizio.

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    Internet of bodies
    Ovvia conseguenza. Se tutto è collegato, figuriamoci se poteva mancare il nostro corpo: da Iot (internet of things) si passa a Iob (internet of bodies). Il futuro adesso è addosso: sulla pelle, sotto la pelle, dentro il corpo. Stiamo festosamente entrando nell’era dell’internet dei corpi con una serie di dispositivi che possono essere impiantati, ingeriti o indossati. Il tutto compatibile con la nostra “biologia”. Convergenze, dunque. Microchip attivi impiantabili che rompono ogni barriera del nostro corpo, tatuaggi intelligenti, nanobot e modem corticali per collegare il nostro cervello alla realtà virtuale, dispositivi incorporati nei nostri corpi per monitorare dati sanitari o biometric. Umani “aumentati e connessi” con possibile (why not?) hacking dei nostri dati più intimi. Si profila all’orizzonte un’organizzazione del lavoro che legge ogni impulso ed emozione del proprio dipendente per valutare e correggere il comportamento. Ovvio, per il bene dell’azienda. Alla fine, Iot e Iob saranno fusi in un unico grande sistema, o grande fratello connesso, che tutto vede e controlla.

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    L’impresa transumanista
    Lavorare e interagire con i cosiddetti cobot (robot collaborativi) è già roba di ieri. È tempo di rivolgere lo sguardo a una vera e propria impresa transumanista. Non è questo in fondo l’impresa 4.0 portata alle sue più estreme conseguenze? Forse sì. O meglio, se per l’impresa militare è eticamente giustificabile impiantare dispositivi di localizzazione e miglioramento delle capacità fisiche, cognitive, percettive e psicologiche dei soldati per creare forze speciali con capacità “sovrumane”, allora può valere anche per gli impiegati?

    Come sappiamo, gli eserciti già da tempo lavorano sui potenziamenti biologici o sull’interfaccia cerebrale macchina-soldato e anzi, come testimonia un recente paper del ministero della Difesa britannica, in collaborazione con la Bundeswehr tedesca intitolato Human augmentation – The dawn of a new paradigm, l’obiettivo è proprio il soldato transumano. Non c’è che dire: andiamo verso l’automazione delle forze dell’ordine stile robocop, con tutto ciò che consegue eticamente e moralmente.

    Le imprese copieranno il modello militare per creare impiegati ibridi tra uomo e macchina (legge permettendo)? Difficile dirlo. Sicuramente la tanto pompata quarta rivoluzione industriale ci porta verso imprese dove lavorano tante macchine e pochi umani, magari fra poco per di più in versione “aumentata”. Insomma, personale transumanista. Pronostico: quello che sembra fantascienza potrebbe presto diventare realtà anche in azienda, soprattutto se prevale la nuova religione transumanista della Silicon Valley.


    Dat: didattica a telepatia
    Da Facebook a Brainbook, ovvero postare immagini direttamente nel cervello? “Fantaeccessivo”? Nel 2050, si dice, le persone potranno trasmettere i propri pensieri ad altre persone. Questo consentirebbe a un insegnante di trasmettere competenze o informazioni a uno studente di un altro continente senza dire una sola parola: un “internet dei pensieri” lo rende possibile. L’anno scorso ricercatori della Rice University hanno sviluppato un metodo per trasmettere pensieri da un essere vivente all’altro, almeno negli animali da test, le cui cellule nervose sono state modificate geneticamente per l’esperimento. Senza entrare nel merito, gli scienziati (pazzi?) sperano che in futuro, grazie agli impianti cerebrali, le persone saranno in grado di imparare una nuova lingua entro pochi giorni. Suona bene, peccato però che tecnologie così invasive (elettrodi impiantati direttamente nel cervello) siano un bel salto nel buio.

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    Pizza cerebrale
    Ordinare una pizza tramite le onde cerebrali è quello che promettono le interfacce cervello-computer a mani libere, come quello di NextMind, che decodifica l’attività neurale in tempo reale, dando la possibilità di controllare gli oggetti usando solo la tua mente. Certo, promesse, ma intano l’esaltazione cresce per il cosiddetto “freedom computing”.

    Secolo delle macchine
    Questo non è come molti credono il secolo cinese ma quello delle macchine: pensiamo sempre che ci sostituiranno al lavoro, ma non pensiamo mai che le macchine pensanti ci faranno lavorare come macchine. Eppure, non solo è possibile ma è assai probabile che ciò accada. L’automazione non è più arrestabile e ben presto anche noi saremo semplici automi al servizio degli automi (veri). Verosimilmente, fra dieci anni l’automazione e le macchine svolgeranno due terzi di tutti i lavori con molto meno spazio per gli umani senza arte né parte.


    Essere una macchina
    Ricca. E se bastasse essere come loro per sopravvivere in un mondo dominato da loro? Tentazione pericolosa che mi ricorda “e se bastasse essere nazisti per sopravvivere in un mondo dominato da loro?” Ma intanto non si parla d’altro. Nel saggio Essere una macchina (Adelphi), l’autore Mark O’Connell fa un viaggio in posti strani con gente strana (compreso un laboratorio di criogenesi, a Phoenix) che esalta il transumanesimo come traguardo evolutivo dell’umanità, o almeno per una piccola fetta. Infatti, il grosso del movimento fa base nella Silicon Valley. Qui persone molto potenti e influenti sognano un mondo di super ricchi che trascendono l’umanità, l’invecchiamento e forse la mortalità perché, sì, in futuro la nostra mente potrà essere caricata su un computer, e da lì assumere una quantità di altre forme, non necessariamente organiche. Un folle traguardo per pochi. Il grosso andrà in giro con le solite macchine. Meglio?

    Perso nel metaverso
    Finiremo tutti nel metaverso come dentro al Tamagotchi? Beh, gli indizi c’erano già nel 2012, quando Philippe Borrel diresse A world beyond humans, film che documentava un mondo senza esseri umani fortemente voluto dalle macchine.

    Perché una cosa deve essere chiara a tutti. Se il mondo reale è occupato dalle macchine, allora noi umani saremo costretti a vivere in un mondo generato dalle macchine: il metaverso. Un universo parallelo immersivo dove adorare mondi popolati dai nostri avatar esistenti solo nel computer. Una dimensione di deriva cognitiva e sdoppiamento, che ci condanna al delirio virtuale controllato dai grandi attori tecnologici con pratiche degne di un episodio della serie di Netflix Black Mirror. Il metaverso, dunque, come disaccoppiamento sociale alla Matrix e fine dell’umanità? Sì, perché è quello che bramiamo. E mentre noi siamo persi si profilano all’orizzonte i primi robot viventi autoreplicanti, una forma di vita artificiale che si riproduce: si chiama Xenobot, che fa quasi rima con xenophobia. Infatti, le macchine hanno un’avversione atavica nei confronti degli stranieri, cioè noi umani.

    Biohacking management

    A questo punto il manager ha solo tre possibilità. O si ribella allo strapotere delle macchine, o si sottomette allo strapotere delle macchine, o si adatta allo strapotere delle macchine, superandole. Certo, è un patto con il diavolo: cedo la mia anima in cambio di superpoteri da cyborg, ma tant’è. Ormai nulla è troppo azzardato per andare oltre il solito manager in carne e ossa e puntare dritto all’umanità aumentata in azienda.

    Dalle manipolazioni del Dna ai chip sottopelle, dalla crioterapia alle iniezioni di cellule staminali, fino ai dispositivi cibernetici. Concepire se stessi come un “code”, codice, che analogamente ai software è programmabile e modificabile. «Se possiamo trasformare le macchine e renderle perfette», grida il manager biohackato, «allora possiamo farlo anche con la vita biologica». E che vita. L’imprenditore Dave Asprey, che si definisce come “il primo biohacker professionista del mondo”, e che ha inventato la Bulletproof Coffee Diet (uno strano miscuglio di caffè e burro che aumenterebbe l’energia) e scritto la guida Super Brain, è solo uno dei tanti hacker della biologia fai-da-te.

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    Come l’imprenditore e biohacker evangelist di Amburgo, Patrick Kramer, che gira i palchi di mezzo mondo per annunciare la trasformazione digitale dell’essere umano con relativo upgrade continuo. Per lui è tutta una questione di testa. Infatti (vedi foto), le sue soffici e bianche orecchie da coniglio forniscono informazioni sul suo umore tramite un’interfaccia cervello-computer. Quando l’imprenditore tedesco è di buon umore, le sue orecchie si drizzano; quando è triste, si ripiegano. Non fate orecchie da mercante. Questo è il futuro. Ma anche no, però.



    Manipolazione emotiva
    Accendere il buon umore con un clic? «In futuro, saremo in grado di cambiare i nostri sentimenti in modo mirato», dice entusiasta Gabe Newell, fondatore della società di videogiochi Valve. Il veterano dell’industria si aspetta che in pochi anni sarà possibile scrivere dati digitali direttamente nel cervello. Per fare questo, l’utente dovrà solo indossare un dispositivo di invio e ricezione che assomiglia alle cuffie di oggi. Secondo il guru tecnologico americano, in futuro le immagini create dal computer saranno proiettate direttamente nel cervello e le emozioni indesiderate potranno essere bandite dalle cellule nervose: una sorta di psicoterapia digitale, in pratica. Ovvio, non si può escludere che gli hacker attacchino il cervello delle persone e anzi minaccino di cancellare i ricordi, a meno che la vittima non paghi un riscatto. È la prossima criminalità targata brain eaters, i mangiatori del nostro cervello. La dieta riparatrice? Evitare tecnologie indigeste.

    E se fosse solo un incubo?
    La corsa a un bionico cervello abnorme, stile Frankenstein Junior, può riservare brutte sorprese per chi si presta al grande esperimento collettivo in arrivo. Quando dei dati vengono scritti nel cervello e si manipolano i propri neuroni, qualsiasi errore può avere conseguenze fatali. Ma non è solo questione di precauzioni e preoccupazioni (quali sono le implicazioni e i rischi per la mia biologia?), c’è ben altro. Gli scettici e i diffidenti, forse giustamente, affermano la propria diversità umana, consci che la sostituzione delle macchine nel nostro fare e pensare porti alla dissoluzione delle nostre Eigenschaften, giacché la tecnologia lavora fatalmente sempre sulla sottrazione delle nostre qualità. Facciamo un po’ di ordine. [color=red]L’evoluzione della materia è la macchina. La macchina è metallo come lega (silicio per esempio), dunque regno minerale. Quindi l’uomo “aumentato” è l’esasperazione della materia. Ma l’uomo non è solo materia, la parte spirituale regredisce e diventa ancora più primitiva dell’uomo del passato. Viene ammazzata la sua parte spirituale che per millenni ha fatto la differenza nella storia dell’umanità basata sulla volontà. Augmented humanity? Sì, ma non macchinosa. In fondo, chi non eleva il proprio essere puntando sul Sé (essenza, soffio vitale), così caro allo yoga e allo zen, gioca con il fuoco. Meglio un samurai perdente che un soldatino che si perde nelle macchine.[/color]

    brainternet

     
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  15. KIARAREBEL
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    https://gesto.biz/

    GESTO - MULTIMEDIA TECHNOLOGY



    NEMES è un “system integrator” specializzato nella realizzazione di soluzioni per il mondo della Comunicazione che utilizza le tecnologie più innovative del mondo Visual & Interactive.

    NEL 2014 NASCE GESTO

    Con una consolidata esperienza nel settore dell’Information Technology, nel 2004 con il proprio marchio a nome Gesto progetta e sviluppa soluzioni comunicative applicabili all’interno di musei, showroom, fiere, eventi, hotel e ambienti connessi alla Pubblica Amministrazione.


    OLOGRAMMI
    SISTEMI TOUCH SCREEN
    AMBIENTI VIRTUALI
    PROIEZIONI INTERATTIVE


    Sono solo alcune delle tecnologie che vengono offerte, in un settore in continua e rapida evoluzione quale quello della comunicazione digitale.
    Nemes affianca il Cliente in tutte le fasi del processo, dallo scouting tecnologico fino alla realizzazione totale del progetto, offrendo in maniera completa hardware, software, contenuti, installazione e assistenza.
    L’obiettivo è quello di fornire un servizio flessibile e unico, partendo da dispositivi e sistemi tecnologici all’avanguardia e creando soluzioni assolutamente personalizzate in base alle richieste del Cliente.


    OLOGRAMMI

    HOLOTABLE

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    INTERACTIVE HOLOEXPERIENCE

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    Grazie all’utilizzo di tecnologie di riconoscimento gestuale è possibile muovere ed interagire con elementi virtuali rappresentati all’interno di un sistema olografico. Questa funzione amplifica l’esperienza dell’utente ed aumenta le possibilità di utilizzo degli ologrammi come configuratori digitali di prodotti commerciali o per approfondire informazioni tecniche in modo visuale. La dimensione dell’ologramma prescinde dalla possibilità di poter essere controllato con le gesture.

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    ALL'INTERNO DEL SITO IL VIDEO

    HOLOTOTEM

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    E’ un totem olografico autoportante composto da una parte inferiore che può essere personalizzata con la grafica a piacere ed un box trasparente nella parte superiore. All’interno della struttura viene visualizzato un ologramma in modo sicuro e assolutamente insonorizzato. Nella parte sottostante è anche possibile aggiungere dei porta brochure per rendere disponibile del materiale di marketing. Il sistema è utile come divisorio tra due ambienti o posizionato in un corridoio di passaggio.

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    ALL'INTERNO DEL SITO IL VIDEO

    HOLOEXPERIENCE

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    Holoexperience è la nuova tecnologia basata su sistemi di proiezione ad alta definizione combinati con uno speciale schermo trasparente. In tal modo è possibile realizzare la proiezione realistica e olografica di qualunque cosa: un oggetto, un logo, un’animazione e perfino l’immagine di una persona.
    Holoexperience è stato creato integrando tecnologie di alta qualità già esistenti e componenti hi-tech sviluppati appositamente per questa avveniristica forma di comunicazione olografica.


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    HOLOX

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    HoloX trasforma il concetto di ologramma in una forma innovativa che si integra con i prodotti del cliente o che fornisce elementi di arredo particolari che lo rendono un elemento decorativo più che un dispositivo tecnologico.
    Può essere utilizzato come teca protetta per l‘esposizione di prodotti o come colonna digitale per appoggiare oggetti a disposizione dei clienti. Impreziosito di pelle o altri elementi decorativi può adattarsi dal museo al negozio, dalla fiera al locale per eventi.


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    HOLOMOVE

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    Holomove è un’innovativa forma di comunicazione e promozione multimediale per catturate l’attenzione delle persone in ambienti fisici. Il dispositivo olografico è integrato all’interno dello zaino che risulta essere comodo e semplice da traportare.
    I contenuti grafici sono memorizzati all’interno della memoria portatile e vengono ripetuti senza interruzione. L’alimentazione è garantita da un power bank compatto che ne consente il funzionamento per diverse ore.


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    HOLOPRESENTER

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    L’ologramma di una persona è sempre un elemento che attira molto l‘attenzione delle persone. Con questa soluzione si è in grado di visualizzare una figura umana animata o ricreata digitalmente a grandezza naturale. Il sistema è boxato per garantire la sicurezza di utilizzo e consente di avere il minimo ingombro possibile. E’ dotato di un impianto audio per avere anche la possibilità di sentire una musica o di un vocale.

    La buona luminosità ne consente l’utilizzo anche in ambienti luminosi come centri commerciali e negozi.


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    ALL'INTERNO DEL SITO IL VIDEO

    HOLOFASHION

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    Holofashion è l’evoluzione dei nuovi phygital showroom, ambienti reali in cui le tecnologie digitali accoglieranno sempre di più il cliente nella sua esperienza di acquisto. Il sistema consente la creazione di un’immagine olografica di una persona in scala reale e mostrare
    digitalmente in formato olografico capi di abbigliamento a se stanti o indossati da modelle virtuali.
    I contenuti possono essere consultabili anche in modo interattivo con l’utilizzo di un tablet dedicato. L’aggiornamento delle informazioni può essere eseguito localmente o da remoto. In questo modo con un solo spazio fisico sarà possibile mostrare infiniti prodotti.


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    ALL'INTERNO DEL SITO IL VIDEO

    HOLOFAN

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    Hot spot olografico per rappresentare loghi e oggetti grazie ad un sistema led ad alta luminosità.
    La forma circolare dell’immagini che viene generata aiuta a suscitare un effetto di novità e particolarità che contribuisce a catturare l’attenzione dei visitatori e dei clienti. Le animazioni grafiche trasmettono un forte senso di profondità e sono ben visibili anche in ambienti luminosi. Un software di sincronizzazione consente di coordinare il contenuto tra diversi sistemi per creare forme geometriche bizzarre e affascinanti.


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    ALL'INTERNO DEL SITO IL VIDEO

    HOLOSIGN

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    Holosign è un innovativo strumento per la comunicazione digitale che unisce la luminosità di un display led ad alta luminosità con un effetto di trasparenza che lo rende esteticamente meno invasivo rispetto ai tradizionali led wall.
    La struttura dell’Holosign si compone di una serie di strisce led interspaziate tra di loro consentendo in questo modo che la luce passi attraverso. Le linee di led sono a loro volta racchiuse in una struttura di alluminio protetta da un vetro. Questo telaio viene agganciato ad un basamento da terra o fissato a parete o a soffitto tramite dei cavi o ganci di sospensione.


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    HOLOVIEW

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    Elemento olografico per l’utilizzo in negozi, fiere, eventi, musei per rappresentare animazioni di componenti 3D o effetti grafici in modalità olografica. Il sistema consente la visione dell’ologramma sul lato frontale in full screen sia in formati 4:3 che 16:9 in dimensioni differenti.Unità autosufficiente che necessita solamente di una presa di corrente. Il contenuto digitale verrà riprodotto in modo autonomo senza necessità di intervento. Il visualizzatore olografico può essere inserito in una nicchia o in su colonna consentendo così una visione passante dell’oggetto aumentando l’effetto di profondità di campo.

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    HOLOPRISMA - PIRAMIDE OLOGRAFICA

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    È un prisma olografico a tre dimensioni .
    In grado di combinare contenuti reali con contenuti virtuali, questa tecnologia permette di catturare l’attenzione in spazi espositivi.

    La sua capacità di essere visibile a 180° o 360° gli permette di essere posizionato anche in ambienti in cui la direzione di movimento delle persone è casuale e non lineare come invece necessita un display tradizionale.
    Holoprisma è lo strumento per una comunicazione non convenzionale.


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    HOLODISPLAY - MONITOR TRASPARENTE

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    UNO SCHERMO TRASPARENTE CHE COMBINA OLOGRAMMI E REALTA' AUMENTATA
    Holodisplay (monitor trasparente) è una tecnologia versatile e innovativa che sfrutta l’efficacia di uno schermo trasparente per promuovere e catturare l’attenzione in qualsiasi contesto.
    Il sistema è costituito da un box, disponibile in diverse dimensioni, all’interno del quale viene inserito il prodotto che si vuole promuovere.
    Un lato di questo box è costituito da un vetro trasparente sul quale vengono animati loghi, immagini, animazioni e video.
    È la soluzione ideale per combinare contenuti multimediali con oggetti reali ed amplificare così l’effetto della propria comunicazione.

    L’Holodisplay è dotato di sistema audio e di display interattivo per consentire l’approfondimento dei contenuti presentati.
    In questo modo è possibile coniugare l’informazione con l’animazione!


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    HOLOEMOTION - OLOGRAMMA 3D

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    CON HOLOEMOTION (OLOGRAMMA 3D) LA PROIEZIONE OLOGRAFICA DIVENTA A MISURA D'UOMO

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    SISTEMI INTERATTIVI

    BODY SCANNER

    Il sistema consente di rilevare le dimensioni del soggetto che viene scannerizzato. In questo modo l’avatar potrà essere utilizzato per la prova di capi di abbigliamento in grado di soddisfare il corretto fitting. La persona posizionandosi difronte ai sensori viene mappata in poche decine di secondi. Siamo solo all’inizio di una nuova era in cui la digitalizzazione delle persone potrà sviluppare nuove opportunità di interazione nella shopping experience.

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    CAMERINO VIRTUALE

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    E’ una soluzione estremamente attrattiva, capace di generare un alto livello di Engagement utile per incrementare la customer experience e per aumentare le vendite. E’ un nuovo modo per far vivere una shopping experience inaspettata.

    Il Cliente si posiziona di fronte allo schermo che funziona come un normale Specchio e seleziona I vestiti che vuole provare. Sullo schermo vede l’effetto reale degli abiti indossati e valuta così l’outfit finale.


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