BANCA DATI: FAGO M13 - Collegato a Morgellons - I computer superveloci del futuro funzioneranno grazie a un virus biologico

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    https://it.wikipedia.org/wiki/Fago_M13

    FAGO M13



    Il Fago M13 è un fago filamentoso, è costituito da DNA a singolo filamento ed è maschio-specifico perché penetra nella cellula ospite attraverso il pilus.

    Ciclo vitale
    Il fago M13 assorbe sul pilus attraverso una proteina del capside Gp3. Il filamento di Dna che penetra nella cellula è a singolo filamento ed è chiamato "+ strand". Una volta entrato nella cellula il DNA viene convertito in una molecola circolare a doppio filamento chiamata "Replicative form" (RF). Il DNA ds viene più volte replicato e contemporaneamente vengono trascritti i geni che codificano per le proteine strutturali del fago. Quando sono state sintetizzate circa 100-200 copie del fago, il prodotto del gene 5 (Gp5) si lega ai filamenti + ss e impedisce che vengano replicati. I filamenti possono così interagire con la membrana della cellula attraverso Gp7 e Gp9 e una volta preso contatto Gp5 viene rimpiazzato da Gp8 e Gp3. Il fago così assemblato viene estruso dalla cellula senza lisarla.

    Replicazione del genoma
    Il Dna del fago che entra nella cellula è a singolo filamento e viene chiamato " + strand". Appena penetrato, l'RNA polimerasi della cellula ospite sintetizza un primer all'origine di replicazione. La DNA polimerasi III dell'ospite inizia a sintetizzare il filamento complementare che viene definito "- strand". Quando Pol III incontra il primer dissocia dal DNA. La DNA Pol I con attività 5' esonucleasica rimuove il primer e riempie il "gap". Infine la Ligasi salda i due tratti di DNA. La sintesi del filamento - dà origine ad un DNA a doppio filamento chiamato "Replicative form". I due filamenti - e + della RF sono poi replicati separatamente e con due meccanismi differenti. Il prodotto del gene 2 è una endonucleasi che produce un nick sul filamento + della RF e rimane attaccata al fosfato in 5' lasciando l'estremità 3' libera. La proteina Rep dell'ospite è una elicasi che aiuta a svolgere il DNA all'altezza del nick. La DNA Pol III dell'ospite utilizza l'estremità 3' libera come primer per la sintesi di un nuovo filamento + mentre il vecchio viene rimosso. Una volta completata la replicazione si ottengono due molecole di DNA: una circolare a doppio filamento e una a singolo filamento dove Gp2 salda le estremità 5' e 3' con una reazione di transesterificazione e ricrea un filamento circolare +. Tale processo continua fino a quando comincia ad accumularsi Gp5. Questa proteina si lega al DNA single-strand + e impedisce che venga ulteriormente replicato.

    M13 come vettore di clonaggio
    Poiché il DNA di M13 è a singolo filamento, questo batteriofago rappresenta un conveniente vettore per il clonaggio del DNA. La lunghezza del suo genoma non è fissa e per questo è in grado di accettare DNA estraneo senza compromettere la vitalità del fago. Un particolare vettore di clonaggio che sfrutta il ciclo vitale del fago M13 è chiamato "Phagemid".

    Il Phagemid è una molecola circolare di DNA a doppio filamento che contiene un'origine di replicazione plasmidica (Ori V) e l'origine di replicazione di M13 ma non contiene i geni che codificano per le proteine strutturali del fago. Nel phagemid può essere clonata una sequenza di DNA di interesse e che si desidera venga espressa in una popolazione di cellule sfruttando l'infezione fagica. Poiché il phagemid contiene solo l'origine di replicazione fagica non è in grado di generare le proteine strutturali necessarie per l'assemblamento del fago e per il packaging del dna al suo interno. Per questo motivo viene utilizzato l'Helper Phage M13K07. Tale fago contiene una origine di replicazione e codifica per tutte le proteine strutturali del fago. Quando le cellule contenenti il Phagemid vengono superinfettate con M13K07, Gp2 riconosce come origine fagica quella presente sul Phagemid che di conseguenza viene replicato ed impaccato insieme alle proteine strutturali codificate dall'Helper Phage.


    www.ilfattoquotidiano.it/2018/12/0...ogico/4820258/#

    I computer superveloci del futuro funzioneranno grazie a un virus biologico

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    I ricercatori del MIT e dell'Università di Singapore hanno trovato il modo per produrre memorie a cambiamento di fase che renderanno i computer molto più veloci di quelli attuali. Come? Usando un virus biologico.

    Anche se i computer moderni sembrano velocissimi, la realtà è che i sistemi elettronici, al loro interno, registrano dei piccolissimi ritardi (tecnicamente lag) che frenano le prestazioni complessive. In particolare, quando i computer memorizzano i dati si fermano per un attimo impercettibile. Per innalzare la velocità di elaborazione bisognerebbe eliminare queste pause. Alcuni ricercatori hanno avuto un’idea decisamente singolare: usare un virus. Non un virus per computer, ma uno tradizionale, tipo quello del raffreddore per intenderci.

    L’idea è venuta a un gruppo di ricerca composto da studiosi del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e della Singapore University of Technology and Design. Come accennato, hanno mescolato il silicio (il componente con cui sono realizzati i chip) con la biologia – un virus appunto. Per capire perché ci sia bisogno di un virus, bisogna prima comprendere alcuni dei passaggi che i dati effettuano all’interno dei computer.

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    Normalmente le informazioni si muovono dal supporto di archiviazione alla memoria RAM, da questa alla CPU, e viceversa. I rallentamenti si verificano fra la memoria RAM e il supporto di archiviazione, che può essere il classico disco fisso o un supporto SSD, cioè un’unità di memoria a stato solido. La RAM è molto veloce, ma trattiene le informazioni solo finché è alimentata. Dischi e SSD sono più lenti, ma conservano i dati anche in assenza di energia. Sono quindi indispensabili entrambi. A meno che non si sostituiscano tutti e due con una memoria a cambiamento di fase, che è sia veloce, sia capace di trattenere i dati a lungo.

    Per realizzarla però c’è un ostacolo che sembrava insormontabile. La memoria a cambiamento di fase si produce usando l’antimoniuro di gallio, un materiale binario (non è l’unico) che ha due effetti collaterali. Il primo è che aumenta i consumi, il secondo è che diventa instabile intorno ai 346 gradi. Nella fase di produzione si raggiungono temperature anche maggiori. Si possono usare altri materiali, che hanno lo stesso problema.

    Al MIT i ricercatori hanno cercato di aggirare l’ostacolo produttivo chiamando in causa il virus M13. È un batteriofago, ossia un virus che sfrutta i batteri come macchinari per replicarsi. A quanto pare, M13 è utile per la realizzazione di memoria a cambiamento di fase. Impiegato per estrarre le particelle di antimoniuro di gallio, riesce a ricomporle in nanofili, mantenendo temperature inferiori a quella di 346 gradi. In altre parole, il componente rimane stabile e può essere usato.

    In questa fase della ricerca parliamo di una soluzione a livello sperimentale. Per arrivare a una produzione su larga scala, che permetta di impiegare questo metodo nella produzione di massa, ci vorranno ancora anni di ricerca. La scoperta però è notevole, tanto da essersi meritata la pubblicazione sulla prestigiosa rivista ACS Applied Nano Materials. La prospettiva futura è che un giorno avremo sistemi elettronici notevolmente più veloci, a beneficio di tutto quello che ne fa uso, dagli smartphone ai supercomputer.





    https://it.wikipedia.org/wiki/Batteriofago...el%20citoplasma.

    BATTERIOFAGO

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    Un batteriòfago o fago è un virus che infetta esclusivamente i batteri e sfrutta il loro apparato biosintetico per effettuare la replicazione virale. L'infezione virale del batterio ne causa la morte per lisi, ossia mediante rottura della membrana plasmatica dovuta all'accumulo della progenie nel citoplasma.

    I batteriofagi sono composti da proteine che incapsulano un genoma a DNA o a RNA; esso può avere strutture semplici o elaborate. I loro genomi possono codificare fino a quattro geni (ad esempio MS2) e fino a centinaia di geni. I fagi si replicano all'interno del batterio dopo l'iniezione del loro genoma nel citoplasma . Inoltre, i batteriofagi sono tra le entità più comuni e diverse nella biosfera; essi sono presenti ovunque si trovino batteri. Si stima che ci siano più di 1031 batteriofagi sul pianeta, più di ogni altro organismo terreste, compresi i batteri, combinati.

    Una delle maggiori fonti naturali di fagi e altri virus è l'acqua di mare, dove sono stati trovati fino a 9x108 virioni per millilitro in tappeti microbici in superficie,[4] inoltre fino al 70% dei batteri marini può essere infetto da fagi.

    I fagi sono stati usati dalla fine del XX secolo come alternativa agli antibiotici sia nell'ex Unione Sovietica sia nell'Europa centrale, nonché in Francia. Sono visti come una possibile terapia contro i ceppi multi-farmaco-resistenti di molti batteri (vedi terapia fagica). D'altra parte, i fagi di Inoviridae hanno dimostrato di complicare i biofilm coinvolti nella polmonite e la fibrosi cistica e di proteggere i batteri dai farmaci destinati a debellare le malattie, promuovendo così un'infezione persistente.

    Struttura
    I batteriofagi più complessi, come quelli della serie T (ad esempio il fago T2), hanno forma di spillo. La testa costituisce il capside e racchiude l'acido nucleico; al di sotto di essa vi è una sorta di collare, cui è attaccata una coda, la quale termina all'estremità basale con 5-6 filamenti detti fibre caudali.

    image.axd?picture=2019%2F1%2FBy_Andrea_Danti-1

    Replicazione
    Il batteriofago attacca il batterio fissando le fibre caudali su un punto preciso della sua membrana cellulare. Con un meccanismo di contrazione inietta al suo interno il proprio acido nucleico, mentre l'involucro proteico rimane all'esterno.
    Una volta penetrato, il genoma fagico può seguire due vie:[11]

    nel ciclo litico utilizzerà l'apparato di replicazione dell'ospite per produrre nuove particelle fagiche fino al raggiungimento del volume di scoppio, momento in cui la cellula si disgregherà per lisi;
    nel ciclo lisogeno il genoma fagico si integrerà in un punto specifico (attλ, nel caso del fago λ) del cromosoma batterico. In questo stato integrato il fago viene chiamato profago e, ogni qual volta il cromosoma batterico si replica, verrà replicato anche il genoma fagico. Il batterio che contiene il profago viene detto "lisogeno". Lo stato di profago viene mantenuto da una specifica proteina prodotta dal fago; l'allontanamento di questo repressore induce il passaggio verso il ciclo litico.

    Il batteriofago attacca il batterio fissando le fibre caudali su un punto preciso della sua membrana cellulare. Con un meccanismo di contrazione inietta al suo interno il proprio acido nucleico, mentre l'involucro proteico rimane all'esterno.
    Una volta penetrato, il genoma fagico può seguire due vie:

    nel ciclo litico utilizzerà l'apparato di replicazione dell'ospite per produrre nuove particelle fagiche fino al raggiungimento del volume di scoppio, momento in cui la cellula si disgregherà per lisi;
    nel ciclo lisogeno il genoma fagico si integrerà in un punto specifico (attλ, nel caso del fago λ) del cromosoma batterico. In questo stato integrato il fago viene chiamato profago e, ogni qual volta il cromosoma batterico si replica, verrà replicato anche il genoma fagico. Il batterio che contiene il profago viene detto "lisogeno". Lo stato di profago viene mantenuto da una specifica proteina prodotta dal fago; l'allontanamento di questo repressore induce il passaggio verso il ciclo litico.



    www.molecularlab.it/news/view.asp?n=7174&toDsk=yes

    BATTERIOFAGO M13 AUMENTA L'EFFICIENZA DEL FOTOVOLTAICO

    IL VIRUS M13 MODIFICATO GENETICAMENTE RIESCE A ISOLARE LE DUE COMPONENTI DEI NANOTUBI DELLE CELLE FOTOVOLTAICHE AUMENTANDO QUASI DEL 10% LA PRODUZIONE DI ENERGIA

    LEGANERD_029332

    Gli scienziati del MIT hanno scoperto che utilizzando un virus, l'M13 che è solito infettare i batteri, si può controllare l'assemblamento dei nanotubi sulla superficie di una cella fotovoltaica. I nanotubi di carbonio vengono disposti sulle celle con una configurazione doppia: una parte presenta della proprietà di un metallo, l'altra proprietà di semiconduttore.

    L'inserimento di grappoli di M13 potrebbe permettere di isolare le due porzioni, evitando così che queste abbiano degli effetti contrastanti sulla trasformazione in energia dei raggi solari.
    Grazie all'utilizzo di questo virus geneticamente modificato, che non comporta alcun cambiamento nella produzione delle celle fotovoltaiche, il team di ricerca del MIT ha riportato i risultati degli esperimenti che mostrano un aumento dell'efficienza nella produzione di energia pari al 8-10,6%.

    Redazione MolecularLab.it (06/05/2011)
    Pubblicato in Genetica, Biologia Molecolare e Microbiologia
    Tag: M13, fotovoltaico, solare, energia rinnovabili, virus, fago


    www.fastweb.it/internet/batterie-virus/

    I virus nel futuro delle batterie: come verranno create

    virus%20m13

    Un team di ricerca degli Stati Uniti è riuscito a modificare il DNA di un virus per creare batterie senza impiegare reagenti chimici

    Le batterie agli ioni di litio sono già oggi, e lo saranno ancor più in futuro, le componenti più importanti per determinare le prestazioni e il prezzo sia dei dispositivi elettronici che delle auto elettriche. Più energia si può immagazzinare in una batteria, al costo più basso possibile, più i device e le auto potranno esprimere le proprie potenzialità per un tempo più lungo senza costare un occhio della testa.

    Gli investimenti in sviluppo e ricerca sulle batterie, per questo, a livello globale sono letteralmente esplosi negli ultimi dieci anni. Ma la produzione di accumulatori, per l'elettronica e per i veicoli elettrici, ancora oggi si basa su processi costosi, che richiedono molta energia e che sono impossibili senza l'uso dei pericolosi agenti chimici necessari a fissare sugli anodi e catodi delle batterie (rispettivamente il polo negativo e quello positivo) i materiali rari che li compongono. Come litio, cobalto, lantanio, nichel, manganese, titanio.
    Ma quest'ultimo problema potrebbe essere risolto da una avveniristica ricerca portata avanti da Angela Belcher, professoressa di bioingegneria al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge (USA), che è riuscita a usare i virus per costruire anodo e catodo delle batterie. Ecco come.

    Operai zombie
    I virus, biologicamente, sono come degli zombie: non sono né vivi né morti. Un virus contiene un frammento di DNA, cioè del codice genetico che secondo gli scienziati segna la linea di confine tra gli esseri viventi e il mondo inanimato. Ma un virus non è in grado di replicarsi (e quindi di diffondere il suo DNA) senza "attaccare" una cellula vivente. Il meccanismo di riproduzione dei virus è infatti noto: si aggrappano alla parete di una cellula, riescono (ogni virus in un modo diverso dall'altro) a penetrarla e, una volta dentro, usano la cellula stessa per replicare il proprio DNA. La cellula, compromessa, diventa una "fabbrica di virus" che poi iniziano a circolare nell'organismo attaccato e continuano a riprodursi seguendo questo schema.




    L'idea della Belcher è che sia possibile usare questa capacità dei virus di "attaccare" e "attaccarsi" a qualcosa per estrarre gli elementi chimici necessari a costruire anodo e catodo. In questo modo sarebbe possibile creare una struttura composta da virus e litio, cobalto o uno degli altri elementi chimici necessari e impacchettare tale struttura al fine di creare, appunto, i due elettrodi di una batteria. I virus, insomma, farebbero il "lavoro sporco" al posto dei costosi e inquinanti processi industriali tradizionali.

    Il team della Belcher è riuscito a modificare geneticamente un determinato tipo di virus, il Fago M13 che normalmente attacca dei batteri, affinché si fissi a determinati materiali. Questi virus svolgono il loro compito abbastanza efficacemente, creando delle strutture che sono utilizzabili all'interno delle batterie in sostituzione di quelle normalmente realizzate con i già descritti processi industriali. Tutto ciò avviene a temperatura ambiente e con il solo uso di acqua come terreno di coltura dei virus, senza dover impiegare grandi quantità di energia né pericolosi prodotti chimici.

    batteria-auto

    Quando arriveranno le batterie basate sui virus
    Il procedimento messo a punto dalla Belcher abbina sequenze di DNA con elementi della tavola periodica per creare una forma accelerata di "selezione naturale". Così è possibile causare l'adesione di un virus solo al fosfato di ferro, ma se il codice genetico viene modificato, il virus potrebbe aderire solo all'ossido di cobalto e la tecnica potrebbe essere estesa a qualsiasi elemento chimico o molecola: si tratta solo di trovare la sequenza di DNA giusta.


    Angela Belcher ha mostrato un primo prototipo di queste batterie già nel lontano 2009, addirittura all'allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che ha inserito il team della professoressa tra i beneficiari di un fondo da 2 miliardi di dollari per stimolare la ricerca su nuove tecnologie per le batterie. Oggi la Belcher è in grado di creare oltre 150 virus diversi, ognuno in grado di fissarsi ad un diverso elemento chimico, ma la tecnologia non è ancora pronta per essere utilizzata su vasta scala fuori da un laboratorio. Il problema principale è che i virus sono dei buoni operai, ma non sono molto ordinati: creano delle strutture sempre diverse, difficili da gestire in una produzione di massa. "Il mio laboratorio è focalizzato sul provare ad ottenere la tecnologia più pulita e ordinata possibile" spiega la Belcher, che poi aggiunge: "Non stiamo cercando di competere con la tecnologia attuale. Stiamo invece cercando di rispondere alla domanda: la biologia può essere utilizzata per risolvere alcuni problemi che non sono stati risolti finora?".


    https://en.wikipedia.org/wiki/Filamentous_bacteriophage

    Batteriofago filamentoso

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    Il batteriofago filamentoso è una famiglia di virus ( Inoviridae ) che infettano i batteri . I fagi prendono il nome dalla loro forma filamentosa, una catena vermiforme (lunga, sottile e flessibile, che ricorda una lunghezza di spaghetti cotti), di circa 6 nm di diametro e lunga circa 1000-2000 nm. [1] [2] [3] [4] [5]Il rivestimento del virione comprende cinque tipi di proteine ​​virali, che si trovano durante l'assemblaggio dei fagi nella membrana interna dei batteri ospiti e vengono aggiunte al virione nascente mentre estrude attraverso la membrana. La semplicità di questa famiglia lo rende un interessante sistema modello per studiare aspetti fondamentali della biologia molecolare e si è anche dimostrato utile come strumento in immunologia e nanotecnologia.
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